DecentraMenti è uno spazio interculturale e interdisciplinare, un libero crocevia di idee e progetti autodeterminati e autofinanziati, luogo di confronti e dibattiti, de-situato rispetto al senso comune e al pensiero mainstream.

DecentraMenti è un osservatorio sulle trasformazioni della psiche individuale e collettiva, indotte dai mutamenti dell’habitat artificiale e dell’ecosistema naturale.

DecentraMenti è un luogo d’incontro, scambio e ibridazione tra corpi e menti, che insieme provano a far emergere in superficie la trama di senso della nostra epoca, indicando possibili futuri alternativi, nella direzione della cura dell’essere umano e della vita in ogni sua forma.

Il primo progetto di decentraMenti, intende fotografare le mutazioni antropologiche, segnatamente quelle intervenute nella sfera del desiderio, indotte dalla proliferazione globale di dispositivi digitali e dall’insorgenza di big data, algoritmi e intelligenza artificiale, con un convegno dal titolo Identità e algoritmi. Patologie e cura della psiche nel capitalismo digitale, che si svolgerà presso il museo M9 di Venezia-Mestre, l’8 e 9 ottobre 2024.

Sintesi del convegno Identità e algoritmi. Patologie e cura della psiche nel capitalismo digitale.

G. Longo, La crisi del rapporto allo spazio e la macchina alfa-numerica

G. Morelli, Chimica, linguaggio, intelligenza artificiale: i tratti di una rivoluzione

T. Numerico, Le relazioni pericolose tra dati e algoritmi: la scommessa estrattiva del machine learning

F. “Bifo” Berardi, Iper-colonialismo, semiocapitale e nazional-operaismo

S. Penge, Dipendenza ed identità digitale

F. Lolli, Patologie del desiderio o patologia del desiderio?

B. Mazzara, L’impensabile alternativa: le profonde radici mentali del consumismo

L. Bazzicalupo, Il governo bioeconomico del desiderio e l’ombra lunga della de-concretizzazione

M. Rossi, Esser-ci come? Automatismo mentale e presenza da remoto

D. De Rosa, Digitalizzare la psiche. Problemi epistemici

A. Simoncini, Il soggetto tra digitalizzazione delle masse, spettacolo partecipato e governamentalità algoritmica

L. Pettenò, Nuove patologie: il nostro sistema di funzionamento che interagisce con la propria realtà e con la società dell’epoca

A. Marin, L’invenzione dell’uomo, dalla selce all’intelligenza artificiale

V. Bazzarin, Gemelle digitali: Etica ed identità tra desideri e rischi

M. Pezzella, Sonnambuli e incolpevoli: il trauma storico nella lettura di Hermann Broch

L. Cortella, La felice ambiguità del desiderio di riconoscimento. A partire da Hegel

R. Finelli, Linguaggio dell’informazione, linguaggio dell’emozione. Ritmi biologici e codici tecnologici

R. Madera, Prestazione e depressione come stigma nella psiche della configurazione culturale del capitalismo globale

Il convegno ha visto la partecipazione di diciotto relatori tra matematici, informatici, biologi, filosofi, psicologi, psicoanalisti e sociologi, nella convinzione da parte degli organizzatori, che il tema del convegno, richiedesse un approccio interdisciplinare, tale da coinvolgere intelligenze e competenze tra loro diverse. Le due giornate di lavori si sono articolate su quattro tavoli che hanno affrontato il tema da altrettante prospettive diverse.

Il tavolo Infosfera e Mediascape. Rischi e opportunità delle nuove tecnologie digitali, ha inteso fornire una cornice teorico pratica del mondo delle macchine digitali e degli algoritmi, segnatamente quelli caratterizzanti l’intelligenza artificiale (IA), sia essa generativa (ChatGpt) o meno.

È stata proposta una definizione di macchina digitale, a partire da quella classica formulata da Turing, come macchina aritmetico numerica a stati discreti che, in quanto tale, ha come propri fondamenti il formalismo matematico e la meccanizzazione del calcolo. La macchina di Turing sancisce una visione del mondo dominata da algoritmi e calcoli discreti, che privano il mondo fisico della continuità e delle leggi inerziali tipiche della fisica classica. Lo stesso dispositivo digitale non disponendo di movimenti ma solo di cambiamenti di stato, non può che rappresentrare una spazialità astratta e priva di senso dal punto di vista delle dinamiche fisiche. Laddove per un essere umano, all’opposto, il rapporto allo spazio e alla sua profondità, si da sempre a partire dall’immaginare il movimento da compiere per raggiungere un oggetto fisico, collocato nello spazio a una certa distanza. Risulta importante sottolineare la differenza tra IA e intelligenza umana, basata sul corpo e l’emozione, ricordando che l’IA, pur essendo estremamente potente, opera attraverso comandi imperativi, lontani dalla complessità dell’esperienza umana e delle dinamiche fisiche e spazio-temporali (Longo).

È anche emersa la necessità di instaurare un rapporto con quella che molti ritengono essere una nuova forma di intelligenza, l’IA, se non altro perché essa esibisce comportamenti intelligenti, ovvero tali per cui se venissero compiuti da un essere umano, sarebbero definiti intelligenti, al di là della questione se l’IA sia o meno intelligente in sé. Entrando in una dimensione che rimodula i confini e il rapporto tra le categorie di qualità e quantità, gestendo le qualità attraverso le quantità (ad esempio un colore diventa un codice RGB), che vengono elaborate per poi fornire in uscita ancora delle qualità. Una forma di intelligenza mai vista prima, alimentata da enormi moli e varietà di dati e che lavora a una velocità pari a quella della luce. Diversa da quella umana, in quanto non esiste in natura, ovvero è artificiale, e che non fa le cose come le facciamo noi. A partire dal fare a meno di quello strumento cognitivo fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano, che è sempre stato il principio di causalità, in favore delle correlazioni statistiche, ovvero di regolarità stabili tra i dati. IA che sta cambiando e rimodulando il nostro rapporto con il mondo, trasformando le stesse interfacce con le quali vi ci rapportiamo (Morelli).

Allo stesso tempo dobbiamo considerare come l’estrazione di dati (data mining) degli utenti connessi alla rete (circa 5,5 miliardi nel 2023) vada ad alimentare quei big data che servono ad addestrare la stessa IA (machine learning), utilizzata per costruire profili digitali individuali, a partire dai quali vengono anticipate e condizionate le nostre protensioni, ovvero i nostri desideri. Questi dati pur non esaurendo la complessità del singolo, lo scompongono in particolarità numeriche calcolabili, manipolabili e aggregabili, attraverso la ricerca di correlazioni statistiche significative, che retroagiscono sulla sua identità e sulle sue relazioni sociali. Data mining e IA i cui algoritmi sono spesso affetti da pregiudizi e ideologie, nonché da bias che si propagano con la scrittura del codice, che per una buona parte non è automatizzata, ma implementata da esseri umani quali i programmatori. Riflettendo sul fatto che la tecnica, fin dalla sua apparizione, ha sempre portato con sé la delega di facoltà cognitive e mnestiche a supporti esterni che da un lato, come sottolineava Socrate nel Fedro a proposito della scrittura, comportano una perdita di memoria e di sapere, ma dall’altro rendono quest’ultime, come avviene oggi con le reti digitali, riattivabili e accessibili all’infinito, laddove non vengano requisite e privatizzate dalle industrie cognitive e culturali (Numerico).

In ogni caso va sottolineata l’importanza di distinguere la tecnologia digitale come insieme di artefatti e di pratiche associate, dalle strutture di potere e di controllo e dagli interessi economici che le sussumono. Sebbene l’evoluzione dei dispositivi digitali appaia sempre meno sotto il nostro controllo, allo stesso tempo la tecnologia digitale non va pensata come un soggetto autonomo guidato da una necessità intrinseca. Si sottolinea come lo sviluppo dei motori di ricerca e degli assistenti intelligenti, abbia trasformato quest’ultimi da “oracoli” di informazioni verificabili, a narratori di storie, che anticipano i nostri bisogni, portando la ricerca da qualcosa di mirato a un’interazione che cerca di anticipare desideri, trasformando il processo in un’esperienza narrativa. Le alternative Open Source continuano a rappresentare una possibilità di autonomia per l’utente, una scelta di non voler subire passivamente l’evoluzione di dispositivi e software che spesso danno l’imprssione di evolversi da soli (Penge).

Da una prospettiva psicosociale, per quanto riguarda la cognizione e il desiderio umani, sembra che oggi ci si stia avviando non tanto verso una psicosi di massa, come lasciava presagire la temperie psichica di inizi ‘900, quanto verso una vera e propria disintegrazione organica del cervello collettivo. La stessa comprensione del cervello e della mente si è evoluta, spostandosi da un approccio puramente psicoanalitico a una necessità di interpretazione biologica e neurologica. La psicoanalisi è ormai incapace di affrontare fenomeni di degradazione cerebrale, come l’Alzheimer, che richiedono un approccio neuroscientifico. Si potrebbe ipotizzare che l’esposizione continua e accelerata del cervello umano a segnali neuroelettronici digitali, possa provocarne un invecchiamento precoce. In tema di crisi demografica e di denatalità nelle società moderne, bisogna evidenziare come la longevità, l’uso della tecnologia per controllare la riproduzione e la presenza di microplastiche nella catena alimentare, stiano alterando la biologia umana. Questi cambiamenti stanno creando uno scenario di “semi-sterilità” e un crollo della fertilità, particolarmente marcato nei Paesi sviluppati. Si sottolinea anche una crescente separazione tra sessualità e riproduzione, con un incremento delle transizioni di genere e un declino dei contatti sessuali tradizionali. Nel contesto di queste trasformazioni, si assiste alla progressiva “disumanizzazione” o trasformazione digitale dei rapporti e dei desideri, accompagnata dall’emergere di una nuova percezione dell’identità e della sessualità. L’attrazione umana sta sempre più integrando elementi artificiali, modificando profondamente le dinamiche del desiderio e della soddisfazione. Il desiderio risulta sempre più attratto dal “sex appeal dell’inorganico” e del virtuale, che lo consuma in un’eccitazione asintoticamente infinita, la quale sottrae al soggetto umano, ogni possibilità orgasmatica di godimento condiviso (Berardi).

Con la sessione dal titolo Patologie del desiderio nella società dell’iperconsumo e della competizione sfrenata, si è inteso ampliare l’orizzonte di osservazione alla società offline, quella che produce e consuma materialmente e che vive relazionandosi in maniera collaborativa o conflittuale, sebbene le due dimensioni on e off si stiano sempre più compenetrando e fondendosi nell’onlife. Per portare in luce la dimensione dei nostri corpi desideranti, condizionata e conformata da un modello antropologico, che si fonda sull’egemonia culturale del capitalismo neoliberale digitalizzatosi.

Le profonde radici mentali del consumismo affondano nella sua malintesa identificazione con i concetti di benessere e di libertà, messa in opera dalla manipolazione dell’opinione pubblica. L’individuo si trova sospinto all’interno di un ciclo continuo di insoddisfazione e competizione, terreno di coltura di passioni tristi che non hanno alcun futuro. Il neuromarketing sfrutta le risposte emotive associate al sistema limbico, manipolando emozioni, desideri e pulsioni primarie, per generare profitti crescenti. In merito poi alle conseguenze del riscaldamento climatico e dell’inquinamento ambientale, indotte dall’imperconsumismo di massa, il sistema scarica la responsabilità del consumo eccessivo sui singoli individui, occultando il fatto che le cause sono sistemiche e radicate nelle stesse strutture economiche e culturali che lo alimentano. Si rende necessaria una “decarbonizzazione della mente”, come riflessione su come affrontare il consumo e il riscaldamento globale in modo sostenibile, invitando a riconsiderare la relazione tra umanità, società e biosfera. (Mazzara).

Da una certa prospettiva lacaniana, quella che non pensa che l’evaporazione dell’imago paterna sia l’origine di un’estinzione del desiderio, che lascia campo aperto a un godimento pulsionale eslege, è il desiderio stesso, al suo fondo, ad essere una forma di godimento, non potendosi perciò dare una divisione netta tra desiderio e godimento, desiderio e pulsione. Una forma di godimento per la quale si gode del e nel desiderare in sé e non a causa dell’oggetto desiderato, che in quanto tale, è sempre desiderato in chiave mimetica, ovvero è sempre l’oggetto desiderato dall’altro. Girard sottolinea l’importanza del desiderio mimetico e il suo carattere violento e alienante: desideriamo ciò che l’altro desidera, generando in questo modo conflitti. In un contesto lacaniano, il desiderio è spesso visto come irrisolvibile e perennemente insoddisfatto, un’esperienza che confina con il dolore di esistere. Desiderio come desiderio di godere, autistico ed erratico che, laddove ne venga blandita e sollecitata la spinta al godimento, ad opera dei comandamenti del Super Io sociale, finisce per sconfinare nella distruttività. L’idea contemporanea di desiderio è storicamente figlia di quell’enfatizzazione neoliberista, che mettendo l’individuo al centro del mondo, ampia indefinitamente il diritto di desiderare. L’importante è fare attenzione a non confondere il desiderio inconscio, che è sempre mancanza, con quello autoaffermativo dell’Io, declinato spesso nella sua versione narcisistica. Il desiderio, spesso enfatizzato nella teoria contemporanea, dovrebbe essere riconsiderato alla luce delle sue implicazioni profonde, sia positive che patologiche (Lolli).

Il desiderio è centrale per la politica perché riguarda i processi di soggettivazione individuale e collettiva. Nel contesto del capitalismo contemporaneo, il desiderio viene sfruttato e governato tramite algoritmi, che ne standardizzano l’espressione e ne attenuano l’eccedenza, cioè quella capacità di sfuggire alle categorizzazioni e di creare il nuovo. Il desiderio, anziché mantenere una tensione costruttiva verso il “nuovo”, è ridotto a una sequenza di consumi ripetitivi e standardizzati. Questa dinamica viene potenziata dall’economia algoritmica che, tramite dati e profilazione, cerca di prevedere e gestire i desideri stessi, comprimendo la libertà individuale e collettiva. L’oggetto acquistato non rappresenta un bisogno reale, ma un segno svuotato che alimenta una sensazione di vuoto. La biopolitica moderna, enfatizzata da Foucault e arricchita con la gestione algoritmica, agisce sulle vite umane profilando e classificando. La profilazione non si limita a descrivere, ma plasma il comportamento umano come autoavverante, imponendo predizioni che diventano normative. L’algoritmo, quindi, non “racconta” il soggetto, ma lo modella come un profilo funzionale agli scopi del sistema economico-politico. La tecnologia algoritmica e digitale potrebbe anche diventare uno strumento di libertà, se usata in modo critico e consapevole. Esiste infatti il potenziale per contro-usare queste tecnologie in direzioni non previste dal sistema dominante, come spazi di resistenza o modalità alternative di soggettivazione (Bazzicalupo).

Il paradosso della connessione contemporanea è quello in cui, pur vivendo in una società iperconnessa, la solitudine percepita aumenta. Si deve riflettere sull’idea di “presenza” e “assenza”, e su come si possa essere assenti anche in presenza fisica (il “complesso della madre morta” descritto dallo psicoanalista André Green) e, viceversa, come si possa mantenere una forte connessione con qualcuno in sua assenza (esperienza del lutto o dell’arto fantasma). La “presenza” si può descrivere come uno stato di consapevolezza e attenzione, in cui ci si trova immersi nel “qui ed ora”. Tuttavia, la natura umana è spesso incline alla distrazione, influenzata da pensieri e stimoli continui. Freud enfatizzava l’importanza dell’attenzione fluttuante come strumento di connessione empatica, in contrasto con l’automatismo mentale che tende a isolare. L’automatismo mentale indotto dai device elettronici, è una tendenza che induce a distaccarsi dalla realtà e a replicare schemi senza consapevolezza, una tendenza “anti-vitale” perché riduce la capacità di essere presenti. Di qui la necessità di contrastare gli automatismi per promuovere relazioni più autentiche e significative. La “presenza attenuata” nella terapia da remoto, fa si che le interazioni virtuali differiscano da quelle in presenza. Quest’ultime offrono un contatto tangibile, con stimoli sensoriali completi e una percezione tridimensionale del corpo, mentre nelle sedute online molti elementi come la vicinanza fisica, i dettagli dello sfondo e la lettura del linguaggio corporeo vanno persi, alterando il senso di prossimità e intimità (Rossi).

Il tavolo Il rischio di dis-individuazione del soggetto nella società automatica del tecnocapitalismo computazionale, ha affrontato il pericolo che l’individuazione del soggetto, come scarto singolare rispetto all’omogeneità impersonale di un falso “noi” e all’astrazione del suo profilo commerciale, sia oggi a rischio. E questo a causa della scomposizione dell’unicità incalcolabile del singolo, in un insieme di particolari calcolati attraverso correlazioni statistiche, che risolvono l’individuo in una nuvola di dati processabili, aggregabili e sommabili, tali da disegnare un profilo digitale, riconfigurabile in tempo reale a seconda delle esigenze del mercato.

L’etica dei dati e dell’identità digitale, sono temi cruciali e complessi che vanno affrontati mettendo anche in luce le problematiche etiche e sociali legate al tracciamento digitale, alle identità gemelle digitali e ai rischi associati alla profilazione avanzata e alla sorveglianza. Vanno sottolineati in ogni caso i limiti dell’intelligenza artificiale nel cogliere la complessità del desiderio umano profondo e dell’esperienza soggettiva di temporalità e finitezza. Il rischio etico centrale è legato al pericolo che una profilazione completa possa condurre a una sorveglianza invasiva, compromettendo diversità e inclusione. La stessa “datificazione” è un processo che rischia di non cogliere appieno l’essenza delle emozioni e dei desideri autentici, in quanto il gemello digitale, sebbene potentemente predittivo, resta intrinsecamente limitato rispetto alla complessità dell’esperienza umana. A livello sociale e legale, è fondamentale mantenere il rispetto per i diritti umani anche in ambito digitale, come stabilito dalla Commissione Europea, che mira a limitare l’uso indiscriminato di queste tecnologie. L’approccio dell’UE, sembra mirare a un equilibrio tra il rigore filosofico e il pragmatismo giuridico, riflettendo sulla necessità di un’armonizzazione tra etica, legge e impatto sociale (Bazzarin).

Il discorso sul gemello digitale solleva questioni non solo di profilazione, ma anche di come l’accumulo di dati possa condurre a rappresentazioni di noi che sfuggono al nostro controllo, e persino di come questi “doppi” potrebbero venire a sostituire aspetti di noi stessi, proprio come una sorta di inconscio digitale. Il concetto del gemello digitale originariamente impiegato in ingegneria per simulare l’usura di oggetti, è passato da un modello fisico-ingegneristico a un modello che si vuole applicare alla complessità della psiche umana. Risulta perlomeno necessaria la distinzione tra l’uso commerciale e quello di sorveglianza, connessi alla costruzione di un sé digitale che si radica sempre più nell’inconscio collettivo. Più in generale, se l’episteme contemporanea ci “costringe” a un mondo sempre più digitalizzato, si tratta di operare una riflessione profonda sull’autenticità della nostra presenza digitale e sulle possibili alienazioni che questa “inevitabilità” può generare. Ricordando allo stesso tempo l’impossibilità di interpretare e digitalizzare aspetti profondi della psiche, come la dimensione inconscia, ed evidenziando l’ambiguità e la polivalenza del linguaggio umano, che non possono essere pienamente replicate dai linguaggi formali delle macchine. L’analisi del linguaggio, come nei software di text mining, è lontana dalla complessità della comunicazione umana, per cui vanno attentamente valutate le implicazioni di tale digitalizzazione nei campi clinici, dove il rischio di compromettere la salute umana è elevato (De Rosa).

Il “tecno-capitalismo” ingloba sempre più la vita individuale nella rete digitale globale, attraverso la seduzione e il coinvolgimento tramite dispositivi tecnologici (social media, app, giochi, ecc.). Un processo paragonabile alla “nazionalizzazione delle masse” del XX secolo, che regolava la società attraverso una mistica nazionale. Oggi la seduzione avviene tramite l’attrattiva ludica e libidinale delle tecnologie, dove la connessione e l’illusione di una vita completa e condivisa compensano la precarietà e il senso di isolamento della vita reale. Gli individui si trasformano in dati e diventano parte di un “sciame digitale” connesso, ma che si disgrega facilmente, una forma di vita spirituale basata sulla connessione continua. Questo processo mira a trasformare l’individuo in una risorsa economica attraverso la connessione e la condivisione continua, stimolando una partecipazione, che tende ad assumere i tratti di una “mistica digitale”. La “governamentalità algoritmica” non disciplina i singoli come avveniva nelle società disciplinari del passato, ma sfrutta invece le libere interazioni, trasformandole in dati per il mercato e promuovendo una partecipazione complice e una pseudo-libertà. La moderna società è unita sotto un “incantesimo ipnotico” delle immagini e dell’interazione digitale, dove i soggetti sono contemporaneamente attori e spettatori (“spett-attori”), contribuendo attivamente alla creazione dello spettacolo globale. Con la “società del selfie”, ogni azione pubblica si trasforma in spettacolo, in cui gli utenti condividono continuamente momenti di vita in un ciclo di visibilità e auto-narrazione, alimentando il consumo e il controllo digitale (Simoncini).

Oggi l’interazione tra mente umana e tecnologie digitali genera nuove patologie psicologiche. I processi inconsci, influenzati da automatismi emotivi e sociali, dominano il comportamento e le nuove tecnologie possano accentuare dipendenze e disturbi, attraverso la disponibilità immediata di stimoli gratificanti. Le nuove dipendenze digitali si manifestano come tentativi di ridurre emozioni negative o inseguire piaceri facili, passando dagli user, che usano i dispositivi moderatamente, agli abuser, che perdono il controllo del tempo speso online, fino agli addict, schiavi delle abitudini digitali. Tra le patologie emergenti: il sexting, l’autolesionismo virtuale, il gaming e il cyberbullismo, così come disturbi del corpo quali dismorfofobia e vigoressia. La dipendenza non è solo una patologia in sé, ma una trappola dei nostri automatismi mentali, che si innestano in contesti tecnologici sempre più pervasivi e coinvolgenti. È necessario riflettere su come le nuove generazioni, e non solo, siano esposte a vulnerabilità emotive e cognitive che facilitano l’instaurarsi di comportamenti ripetitivi e compulsivi. L’approccio terapeutico della Terapia Breve Strategica, usa metafore ed esperienze concrete per aggirare la resistenza del paziente, aumentando la sua consapevolezza e il controllo sui comportamenti problematici (Pettenò).

Secondo Bernard Stiegler non c’è un “prima” dell’uomo e un “dopo” della tecnica; uomo e tecnica si sviluppano insieme, in un processo di esteriorizzazione dell’uomo nell’artefatto tecnico, che è simultaneamente un processo di interiorizzazione del secondo nel primo, in quella che si dà come loro co-individuazione. E questo a partire dalle prime schegge di selce, che si fanno supporti di memoria esterna e riflettente, sui quali si vanno a iscrivere in maniera permanente, tracce mnestiche ed esperienze umane. Dall’amigdala si è passati nel tempo alle “mnemotecniche” – dalle incisioni rupestri ai calendari, fino all’alfabeto – con le quali l’uomo ha esternalizzato la memoria per strutturare progressivamente conoscenze e processi di soggettivazione psico-sociale. Con la modernità si consumerà il passaggio epocale dalle mnemotecniche alle mnemoteconologie, segnatamente quelle dei media audiovisivi (radio, cinema, televisione). La sussunzione degli “oggetti temporali”, prodotti da quest’ultimi, da parte dell’industria culturale novecentesca, condurrà alla sincronizzazione delle coscienze di milioni di persone, creando esperienze collettive e simultanee e gettando le basi del consumismo globale. Dopo la rivoluzione digitale e del web, negli anni duemila l’enorme disponibilità di dati (big data), unita all’esponenenziale aumento della velocità di calcolo dei computer, renderà l’IA costruita sulle reti neurali, estremamente efficace nello svolgere una serie sempre maggiore di compiti prima svolti dagli umani. L’assunzione dell’IA da parte del tecnocapitalismo, se da un lato trasformerà l’intera società in un panopticon digitale, dall’altro scomporrà la singolarità dell’individuo desiderante, nella somma di particolarità calcolabili e aggregabili secondo le esigenze di mercato, che andranno a sollecitare i suoi fantasmi pulsionali (Marin).

L’ultimo tavolo, Cura e riconoscimento di sé. Da una società entropica della competizione a una ecologica della cooperazione solidale, ha proposto un confronto tra la temperie psicosociale contemporanea e quella moderna del primo ‘900, indicando possibili direzioni per una convivenza autentica tra esseri umani, che sia generativa ed espansiva di senso per il Sè di ciascuno. Partendo dall’accettazione dell’Altro dentro e fuori di sé, affinché societas interiore e societas esteriore, stabiliscano tra loro un mutuo riconoscimento.

Il Capitale manipola desideri e menti, utilizzando una “spettacolarizzazione di superficie” per anestetizzare e desensibilizzare le persone rispetto ai conflitti e alle crisi, contribuendo a un diffuso stato di indifferenza e passività. In questo contesto, i due romanzi di Hermann Broch, “I sonnambuli” e “Gli incolpevoli”, rappresentano stati d’animo collettivi, caratterizzati dal sonnambulismo e dall’indifferenza. Questi “sonnambuli incolpevoli” incarnano una condizione di distacco dalla realtà e una cecità di fronte alle crisi, una situazione di accidia e omissione che conduce al compimento di eventi tragici, come l’avvento del nazismo. L’estetizzazione superficiale e ornamentale della vita, che maschera il vuoto etico e politico di una società in crisi, diventa un culto feticista, una vacuità che precede e accompagna il sorgere della violenza e dell’autoritarismo. La superficie scintillante e frivola della società borghese nasconde un’incapacità profonda di fare i conti con il senso di vuoto e frustrazione, preparando il terreno per la manipolazione del desiderio da parte del capitale. L’indifferenza, vista come mancanza di coinvolgimento attivo e responsabilità, lascia spazio a un’aggressività potenziale, una pulsione distruttiva che si rivolge prima verso se stessi e poi verso l’esterno, come Freud aveva osservato nel contesto storico. La riflessione di Broch è attuale e applicabile anche ai giorni nostri, invitando a riflettere su come passività e indifferenza generalizzate, manipolate dal capitalismo e dalla spettacolarizzazione, possano ancora oggi contribuire a dinamiche di oppressione e distruzione, e spingendo a una consapevolezza critica per evitare che si ripetano tali tragedie (Pezzella).

Il desiderio è strettamente legato alla mancanza, poiché desideriamo ciò che non possediamo. Filosofi come Aristotele e Hegel descrivono entità come Dio e il sapere assoluto come completi in sé stessi, quindi privi di desiderio. Al contrario, l’essere umano, in quanto limitato e incompleto, è spinto dal desiderio a superare la propria finitezza, cercando una pienezza che tuttavia resta sempre insoddisfatta. Anche se il desiderio sembra rivolgersi all’altro, in realtà si dirige verso il Sé; l’altro è un mezzo per arrivare alla propria autorealizzazione. Il desiderio di riconoscimento spinge il soggetto a chiedere conferma della propria esistenza e valore dagli altri, ma in un modo che rischia di generare conflitto, poiché ogni soggetto vuole essere riconosciuto senza necessariamente riconoscere l’altro. Hegel introduce una dialettica del riconoscimento, dove la vera socialità emerge dalla reciproca dipendenza tra soggetti. Il riconoscimento reciproco spezza l’individualismo e permette di costruire un’autonomia che si fonda sulla dipendenza dagli altri. Tuttavia, questo bisogno di approvazione esterna può degenerare, portando alla perdita di sé nell’omologazione sociale, dove l’individuo si piega al consenso, perdendo la propria autenticità per ottenere accettazione sociale. In sintesi, il desiderio umano di pienezza e riconoscimento crea una complessa tensione tra l’affermazione del sé e la dipendenza dall’altro, portando con sè una socialità intrinsecamente ambivalente e conflittuale (Cortella).

Il digitale ha prodotto una rivoluzione dei sistemi di lettura, scrittura e comunicazione, paragonabile a passaggi storici come l’invenzione dell’alfabeto o della stampa. Tuttavia, le promesse di democratizzazione culturale sono state ostacolate da effetti negativi indotti sulla psiche giovanile. In particolare, si osserva una “sofferenza dell’indeterminatezza”, che porta a un’incapacità nel trovare valori personali e nel costruire un’identità radicata, con la sostituzione della profondità del pensiero con una superficialità emotiva e informativa. La sovrabbondanza di informazioni ha deteriorato la “verticalità” o l’interiorità dell’essere umano, impedendo una connessione autentica con sé stessi. I giovani soffrono di “catatonia dell’apprendimento” (mancanza di passione e significato nello studio) e di “edonia depressiva” (una ricerca superficiale di emozioni). Questa situazione deriva dall’anestesia emotiva e dalla mancanza di un autentico apparato per sentire e interpretare il proprio mondo interiore. L’informazione riguarda dati e conoscenze universali, mentre l’interpretazione richiede una personalizzazione del significato che coinvolge il sentire individuale. La scuola e l’università dovrebbero fare di questa distinzione un principio cardine per promuovere la capacità critica e la profondità interpretativa negli studenti. Riprendendo Hegel, il riconoscimento reciproco è centrale per lo sviluppo dell’individualità. In una scuola ideale, il riconoscimento andrebbe posto accanto alla trasmissione delle conoscenze, aiutando gli studenti a costruire la propria identità in un contesto di relazione sociale. La scuola dovrebbe promuovere sia l’apprendimento che il riconoscimento della soggettività. In sintesi, una riforma educativa che integri conoscenza e riconoscimento permetterebbe di contrastare le tendenze patologiche del digitale, promuovendo un nuovo umanesimo che ponga l’individuo al centro, nella sua interezza emotiva e razionale (Finelli).

Il “capitalismo globale” è un sistema che non solo governa i mezzi di produzione ma permea ogni aspetto della vita, influenzando anche la psiche collettiva. La digitalizzazione è uno strumento di questo capitalismo globale, che contribuisce alla ridefinizione di produzione, consumo e interazioni sociali. Prendendo spunto da Dante, il termine “licitazione” descrive una cultura contemporanea in cui il desiderio è trasformato in legge. Questo concetto rappresenta una società in cui il desiderio e la ricerca di profitto sopra ogni altra cosa ridefiniscono l’etica e la misura, spostando l’accento dalla ricerca della “giusta misura” all’accumulo quantitativo, inteso come espansione continua del capitale. Secondo il concetto marxiano di “feticismo delle merci”, la tecnica e il capitale assumono ruoli quasi autonomi, mentre gli esseri umani diventano strumenti di un sistema economico disumanizzante. Il valore, nella civiltà capitalistica, è ridotto al profitto, influenzando tutte le sfere della vita, comprese etica, relazioni e successo personale. In questa società, ogni attività è guidata dal “principio di prestazione”, in cui il successo è misurato in termini di accumulo e crescita, non solo economica ma anche personale. Questa spinta al successo genera un desiderio insaziabile che sfocia in una “fatica di essere se stessi”, secondo un’analisi ispirata anche da Erich Fromm e da studi su ansia e prestazione nel capitalismo moderno. Risulta necessaria una “rivoluzione culturale e antropologica” per contrastare l’alienazione prodotta dal capitalismo. Figure spirituali come Thich Nhat Hanh e Thomas Merton sottolineano il valore della spiritualità e della trasformazione interiore come strumento di cambiamento sociale. La trasformazione individuale va vista come un passaggio fondamentale per rendersi “degni” della rivoluzione sociale, un richiamo a una consapevolezza di sé che vada oltre il semplice cambiamento politico e abbracci un nuovo modello di interconnessione umana e solidarietà (Madera).


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