L’invenzione dell’uomo, dalla selce all’intelligenza artificiale.


Introduzione.

La riflessione filosofica di Bernard Stiegler, filosofo francese allievo di Jacques Derrida, scomparso qualche anno fa, ha posto la questione del ruolo della tecnica e delle tecnologie nella costituzione e nella trasformazione dell’essere umano. A partire dalla fenomenologia di Husserl, l’analitica esistenziale di Heidegger, la paleoantropologia di Leroi-Gourhan, la différance di Derrida, la storia greca di Vernant e Detienne e il processo di individuazione di Simondon, l’opera di Stiegler mette in primo piano tanto il ruolo della tecnica nel processo di ominizzazione1, quanto il suo isolamento e il conflitto con l’episteme, messi in opera dal pensiero filosofico, sin dal suo inizio2. Laddove con tecnica il filosofo francese ha sempre inteso la materia inorganica organizzata, dall’amigdala ai microprocessori, fino all’esoscheletro digitale della rete, nel quale oggi ci troviamo a vivere.

Se vogliamo pensare fino in fondo l’uomo, con Stiegler, dobbiamo pensare fino in fondo la tecnica. Dobbiamo innanzitutto chiederci in quale rapporto stia la tecnica con l’essere umano e se essa abbia in qualche modo a che fare con la sua stessa origine, se essa sia un suo artefatto che possieda il solo carattere strumentale di mezzo o di protesi che vada a supplire la sua originaria carenza organica, oppure sia fondamentalmente altro.

Quello di Stiegler è un pensiero che risulta quantomai necessario oggi, se si vuole riflettere sulle trasformazioni psicologiche, cognitive, comportamentali, relazionali, politiche ed economiche, indotte dalle tecnologiche digitali, segnatamente quelle legate all’intelligenza artificiale guidata dai big data (data-driven AI). Un pensiero critico, il suo, guidato però da un atteggiamento farmacologico, che lo portava a vedere in ogni artefatto umano, compreso quello digitale, un pharmakon, che come tale, contiene sempre in sé la doppia valenza significativa di veleno e di rimedio.

1. La tecnica come invenzione dell’uomo.

Il ragionamento filosofico di Stiegler comincia con l’interrogarsi sull’ambiguità del genitivo “l’invenzione dell’uomo”, la quale rende indecidibile a priori quale sia il soggetto e quale l’oggetto del verbo inventare. Ovvero chi o cosa inventi, chi o cosa sia inventato. Identificando il chi e il cosa rispettivamente con l’uomo e la tecnica, egli arriva a porsi queste domande: «e se il “chi” fosse tecnico? E se il “cosa” fosse l’uomo? Oppure dobbiamo andare al di qua o al di là di qualsiasi differenza tra un “chi” e un “cosa”?». La questione posta è quella di pensare la nascita dell’uomo al di fuori di ogni antropologismo, in una direzione che porta a identificare l’uomo con la tecnica, in quanto l’artefatto tecnico è «l’origine dell’ominazione, la sua condizione e il suo destino».

Secondo il filosofo francese, la tecnica non è né un mezzo nelle mani dell’uomo, né una protesi che lo completi. La tecnica è quell’esteriorizzazione dell’uomo che, come «memoria artificiale, protesica, fuori dal corpo», costituisce la realtà come suo “mondo” e il suo stesso corpo come “umano”. La tecnica, come materia inorganica organizzata, sta al fondo della stessa origine dell’uomo, e lo trasforma a partire dalle forme che essa stessa, mutando nel tempo assume, al di là di ogni dicotomia tra homo e techne: l’uomo è la tecnica. Quest’ultima si declina infatti in artefatti prodotti dall’uomo che, come sue esosomatizzazioni cioè esteriorizzazioni, sono simultaneamente anche sue endopsicosomatizzazioni, cioè interiorizzazioni.

Stiegler partendo dalla paleoantropologia di Leroi-Gourhan, descrivere la lenta evoluzione che dallo Zinjantropo3 conduce al Neantropo4, con la relativa chiusura e stabilizzazione del processo di corticalizzazione, ovvero con il trasferimento progressivo del controllo di singole funzioni dai centri sottocorticali alla corteccia cerebrale, cosa che arriva a garantire un alto grado di complessità nella regolazione del comportamento. È in questo lungo intervallo di tempo che «si sviluppa un accoppiamento tra corteccia e selce, tra materia vivente e materia inerte». Un accoppiamento tra uomo e strumento, uomo e tecnica, che corrisponde a un processo di esteriorizzazione di un interno verso un esterno che va a istituire lo stesso interno: «Il paradosso è che dobbiamo parlare di esteriorizzazione anche se non c’è un interno che la precede: esso si costituisce nell’esteriorizzazione». Interno ed esterno si inventano l’un l’altro, non esistono prima l’uno e poi l’altro, in quanto essi si costituiscono sincronicamente, come aspetti diversi di una stessa entità, quella che Stiegler, con Derrida, chiama différance, che «non è né il chi né il cosa, ma la loro co-possibilità […] l’origine è quindi la con-venienza o la venuta simultanea delle due cose – che in verità sono la stessa cosa considerata da punti di vista diversi».

Seguendo sempre Leroi-Gourhan, Stiegler scrive che l’apparizione dell’uomo è l’apparizione della tecnica, essendo «lo strumento, cioè la techne, che inventa l’uomo, e non l’uomo che inventa la tecnica. […] l’uomo inventa sé stesso nella tecnica inventando lo strumento – “esteriorizzandosi” tecno-logicamente. Ora, l’uomo è qui l’“interno”: non c’è esteriorizzazione che non designi un movimento dall’interno all’esterno. Tuttavia, l’interno è inventato da questo movimento: non può quindi precederlo. L’interno e l’esterno sono la stessa cosa, l’interno è l’esterno, poichè l’uomo (l’interno) è essenzialmente definito dallo strumento (l’esterno)». Questo a dire che la tecnica non è un mezzo nelle mani dell’uomo, ma ciò che lo costituisce fin dall’origine, in quanto «l’uomo diventa ciò che diventa la tecnica». Se non è un mezzo, non è nemmeno una protesi, laddove questa venga intesa come un’estensione del corpo umano, che va a supplire una carenza organica strutturale dell’uomo, come avviene nell’antropologia filosofica negativa di Gehlen. Per quest’ultimo la strutturale tecnicità umana è una compensazione della difettosa dotazione istintuale dell’essere umano, il quale tramite esoneri e agevolazioni rispetto all’ambiente naturale, trova la sua salvezza. Se possiamo chiamare la tecnica una protesi, secondo Stiegler, lo possiamo fare nella misura in cui esteriorizzandosi nello strumento, ovvero in «una memoria artificiale, protesica, fuori dal corpo e come costituente il suo mondo, […] la protesi strumento non è una semplice estensione del corpo umano, ma è la costituzione di questo stesso corpo come “umano”» (Stiegler, 2023, pp. 178-194).

Nella tecnica l’uomo accede a una nuova organizzazione della vita, la quale non si oppone alla natura, perché ne fa parte, al di là di ogni dicotomia tra uomo e natura o psiche e techne: «l’esteriorizzazione tecnica non rappresenta una rottura con la natura, un emanciparsi da quest’ultima, bensì una nuova organizzazione della vita che comincia a organizzare l’inorganico, organizzandosi in esso» (Vignola in Stiegler, 2023, p. 31). Materia vivente e materia inerte si annodano e informano vicendevolmente, a partire dall’uomo aurorale che, due milioni di anni fa, esteriorizzandosi, inizia a conservare la sua esperienza su di un supporto di selce, che nella sua durezza minerale, diventa «la prima memoria riflettente, il primo specchio», (Stiegler, 2023, p. 185), la prima forma di tecnica, che a sua volta va a influenzare trasduttivamente il processo di corticalizzazione in atto: «Dallo Zinjantropo al Neanderthal, corteccia e strumenti si differenziano e si evolvono insieme, in un unico movimento […] la differenziazione e l’evoluzione della corteccia è determinata dall’utensile tanto quella dell’utensile, come evoluzione dei coltelli di selce, è determinata dalla corteccia, un effetto specchio dove l’uno che si informa dell’altro vi si guarda e ne è deformato: vi si trasforma. È immediatamente la coppia che forma una dinamica originale in una relazione trasduttiva» (Stiegler, 2023, p. 217). Questa sedimentazione inorganica della memoria e la sua differenziazione tecnica, seguirà fino ad un certo punto il processo di corticalizzazione, il completamento e la stabilizzazione del quale, renderà la differenziazione tecnica interamente dipendente dalla differenziazione sociale.

2. La tecnica come la fine dell’uomo.

Se per Stiegler la tecnica «non è un “mezzo” per l’uomo, ma la sua fine» (ibidem, p. 194), questo sta a significare che è a partire dalla tecnica che l’uomo sa di dover morire, sa di essere mortale, sa di essere-per-la-morte (Heidegger, p. 378 e ss, 1978). Se la tecnica è la fine dell’uomo, ciò risale alla colpa di Prometeo, che rubando il fuoco, cioè la tecnica, a Zeus e donandolo agli uomini, fa loro acquisire la capacità di pre-vedere (pro-methis), come capacità di anticipare. Anticipazione per la quale la forma dell’utensile che l’uomo costruisce, preesiste nella sua mente, nella forma di coscienza tecnica. Anticipazione come realizzazione di possibilità non determinate dalla programmazione biologico genetica. Anticipazione come anticipazione della fine, nella forma della consapevolezza del suo essere-per-la-morte, a partire dalla quale prende avvio lo svolgimento diacronico del suo tempo. È solo con l’esteriorizzazione e la protesi tecnica che di dischiude l’orizzonte temporale dell’uomo e con esso il sentimento della sua condizione di mortale. Scrive Stiegler: «La questione è il tempo, il divenire come gioco del non programmato, dell’improbabile e il destino come non-predestinazione, decisione. La temporalità dell’uomo, che lo contraddistingue dagli altri esseri viventi, presuppone l’esteriorizzazione, la protesizzazione: c’è il tempo solo perché la memoria è “artificiale”, costituendosi come già presente» (Stiegler, 2023, p. 213). Ma la colpa di Prometeo, per la quale verrà punito da Zeus, giunge solo dopo quella di Epimeteo, lo smemorato, l’idiota che riflette in ritardo. Narra Platone nel Protagora, che Epimeteo, assegnando le capacità a ogni essere vivente, si scordò dell’uomo, il quale a differenza degli esseri privi di parola (aloga), a ogni specie dei quali era stato assegnato un equipaggiamento per difendersi e adattarsi al mondo esterno, era «nudo, scalzo, scoperto e inerme». Prometeo, per trovare una via di sopravvivenza per la specie umana (non aloga), ruba il sapere tecnico e con esso il fuoco e lo dona all’uomo. I mortali sono il frutto di un evento accidentale, di una dimendicanza, sono affetti da un difetto d’origine, sono esseri prematuri, sempre in anticipo e allo stesso tempo in ritardo, in quanto tutte le qualità sono state già distribuite. Il difetto d’origine dell’uomo è tale per cui per sopravvivere egli deve inventare, produrre e realizzare ciò che immagina, ovvero qualità e protesi. Ma la protesi è ciò che sta fuori di lui, ciò in cui egli si spazializza al di fuori di sé per essere sé, infatti « l’essere dell’uomo è (essere) fuori di sé» (Stiegler, 2023, p. 233). Una natura ec-statica, come scriveva Heidegger in merito a quell’ente che da sempre noi siamo e che egli chiama Esserci (Dasein), che nella sua capacità di anticipare e prevedere vive tra la speranza e la paura riassunte nel tema dell’elpis: «Elpis designa innanzitutto l’aspettativa, la congettura, la presunzione e la previsione. Di conseguenza, questo nome designa la speranza e il suo opposto, la paura […] Nell’elpis, che è l’essere-per-la-morte, solo lì, ma lì necessariamente […] può riversarsi un’attività tecnica tale da caratterizzare ogni umanità, cioè ogni mortalità. Essere attivi può solo significare essere mortali […] Questo essere-per-la-morte, l’estasi, l’essere-fuori-di sé, nell’attesa, nella speranza, nella paura, configura un certo modo di essere dei mortali tra loro […] Ci può essere una follia della tecnica, dell’arte, una fatticità: la protesi è un pericolo, quello degli artefatti, e gli artefatti possono distruggere ciò che riunisce in un essere-insieme effettivo e attivo […] L’essere-insieme è costantemente minacciato dalla sua stessa attività» (Stiegler, 2023, pp. 236-238).

Lo stato di prematurazione dell’essere umano, unico tra tutte le specie a presentare un difetto d’origine, quello di una carenza organica e una mancanza di istinto, che lo rendono inerme e alla mercé dell’ambiente in cui vive, una volta che Prometeo gli avrà donato la tecnica, diventerà uno stato d’incompiutezza. L’uomo è l’incompiuto, il suo essere è un essere-in-difetto, nella misura in cui egli si supera ec-staticamente di continuo, in un processo che si compie solo non compiendosi, ovvero nel suo essere sempre in ritardo sul suo compimento. L’improbabilità del Da-sein, ovvero l’impossibilità di farne oggetto di calcolo, è legata, secondo Stiegler, alla sua “idiomaticità”, che nella differenza della sua irriducibilità singolare, si dà sempre a partire dal già qui preindividuale che la precede e a partire dal quale, si iscrive nel Dasein. L’incompiutezza dell’uomo, che nel suo differenziarsi, lo porta a differirne indefinitamente il compimento, sta alla base del suo principio di individuazione.

3. Dall’epigenesi all’epifilogenesi

Dopo le scoperte della biologia molecolare, dal neo-darwinismo in poi, si è assunto che un organismo vivente sessuato, sia dotato di due tipi di memoria: quella filogenetica della specie (genoma) e quella dell’individuo (somatica), nella quale viene conservata l’esperienza dell’organismo. Quest’ultima va a costituire uno strato epigenetico, che subisce trasformazioni nel corso dello stesso sviluppo dell’organismo e che va perduto con la sua morte. Nel caso dell’essere umano, secondo Stiegler, questo strato non va perduto, ma trasmesso da una generazione ad un’altra, in quanto la tecnica, come esteriorizzazione e reinteriorizzazione della memoria epigenetica, va a costituire un terzo strato, ovvero un ambiente che egli chiama epifilogenetico, «costituito di artefatti che divengono funzionalmente i supporti di una memoria tecnica che va a sommarsi alla memoria specifica (filogenetica) e alla memoria nervosa (epigenetica)» e ai quali appartiene lo stesso linguaggio (Stiegler, 2010, p. 108). L’epifilogenesi dell’uomo, come memoria del passato, va compresa «nel senso della conservazione, dell’accumulo, della sedimentazione di epigenesi successive, e articolate tra loro, una rottura con la vita pura, nel senso che nella vita pura l’epigenesi è precisamente ciò che non si conserva» (Stiegler, 2023, p. 183). Si tratta di una terza memoria, tecnica, né genetica né epigenetica, ma filoepigenetica. È a partire dal paleolitico superiore, fra i 40000 e i 10000 anni fa, che la memoria filoepigenetica si fisserà su supporti di memoria più idonei per la sua conservazione rispetto allo strumento litico, sotto forma di mnemotecniche, come mitogrammi scolpiti su tavolette di pietra o tatuaggi disegnati sul corpo degli sciamani. Se con la tecnica si dischiude l’orizzonte temporale umano, il passato andrà a fissarsi e ad accumularsi diacronicamente su supporti di memoria esterna spazializzata, che Stiegler chiamerà ritenzioni terziarie, quelle che andranno progressivamente a costituire l’ambiente mnemotecnico filoepigenetico. Le ritenzioni terziarie, che il filosofo farà seguire a quelle primarie e secondarie già formulate da Husserl, sono esternalizzazioni mentali (come tali non riconosciute da Husserl), concrezioni di memoria esterne alla coscienza, collocate nello spazio su supporti materiali (hypomnemata, dalle iscrizioni rupestri all’alfabeto, dal libro e la fotografia alla scrittura digitale). Le ritenzioni terziarie, nella loro generalizzazione, diffusione e ripetibilità, condizionano la selezione delle ritenzioni primarie della coscienza (le percezioni, ovvero quello che la nostra coscienza trattiene e seleziona, nel presente del flusso percettivo) da parte del filtro delle ritenzioni secondarie (i ricordi, ovvero le tracce mnestiche a lungo termine del deposito della memoria), le quali a loro volta sono selezioni accumulatesi nel tempo di ritenzioni primarie precedenti.

2. Dalle mnemotecniche alle mnemotecnologie.

Con l’apparizione delle ritenzioni terziarie mnemotecniche, il processo di esteriorizzazione della memoria, quale divenire tecnico, si concretizza come quel processo di costruzione psico-sociale attraverso il quale «i flussi e le continuità che tramano le esistenze sono discretizzati» e resi duplicabili. Una formalizzazione e discretizzazione della parola, dei gesti e dei comportamenti umani (grammatizzazione), tale da permetterne la riproducibilità, segnatamente dopo il Neolitico quando comparendo hypomnemata come sistemi di numerazione, abachi, efemeridi, calendari, forme diverse di scrittura ideografica e la scrittura alfabetico grammaticale dei primi testi manoscritti, il continuum temporale di un discorso orale, viene trasformato in un discreto spazializzato.

La «discretizzazione del continuo in cui consiste il flusso temporale della parola», nel senso inteso da Sylvain Aurox, come isolamento di alcuni elementi costitutivi, in numero finito e in grado di formare un sistema, risale almeno ai Fenici, ma sarà con il processo di grammatizzazione occidentale, che prenderà avvio una vera e propria guerra per «il controllo degli idiomi e, attraverso questi, degli spiriti». Stiegler descrive la storia di questo processo, chiamato mondialatinizzazione da Derridà, «alla base del potere politico inteso come controllo del processo di individuazione psichica e collettiva», che proietterà la ritenzione terziaria mnemotecnica come struttura grammaticale greca e latina sugli idiomi vernacolari,, controllandone simboli e criteri di selezione, nella direzione di una omogeneità linguistica e in seno a un progetto di imposizione della tecnologia intellettuale occidentale. A partire dalla riduzione logica dell’interpretabilità dell’ambiente preindividuale comune alla polis greca, resa possibile dall’apparizione dell’alfabeto, messa in opera da Platone, di contro a quella crisi sofistica che rischiava di portare con sé un caos interpretativo quale possibile incubatore di stasis, ovvero di guerra civile. Se quindi la letteralizzazione rendeva possibile l’interpretabilità dell’ambiente preindividuale della città greca e se quest’ultima diventava minaccia di potenziali conflitti, Platone corre al riparo, fissando le basi logico discorsive del logos e avviando in questo modo «la fondazione assiomatica del processo di grammatizzazione, tipico dell’individuazione occidentale, come […] trasformazione mnemotecnica del rapporto alle lingue» (Stiegler, 2021 I, pp. 90 e ss).

Dopo la rivoluzione mnemotecnica della stampa nel XV secolo, verso la fine del XIX appariranno quelle mnemotecnologie, come radio e cinema, che rendendo possibile la registrazione analogica del suono e dell’immagine, inizieranno a produrre un tipo di ritenzioni terziarie, che nel corso del secolo successivo e in maniera più accelerata dopo la sua metà con la televisione, unite all’industria culturale, trasformeranno progressivamente, le condizioni dello stesso processo di individuazione psicosociale occidentale e planetario5.

Il capitalismo del XX secolo, costretto ad assorbire la sovrapproduzione, risultato dell’aumento di produttività innescato dal macchinismo del secolo precedente, si impadronirà delle tecnologie audio-visive, per creare una vasta platea di consumatori in funzione di tale assorbimento.

Le ritenzioni terziarie del cinema e in particolare della televisione, creeranno oggetti temporali industriali6 prefabbricati che, sincronizzando e standardizzando i tempi di coscienza individuale al fine di costituire mercati mondiali, liquideranno «la diversità delle ritenzioni secondarie individuali e facendo in modo che la singolarità degli sguardi, portata sulle immagini, vi collassi» (Stiegler, 2021 I, p. 134). La captazione dell’attenzione degli spettatori dei media analogici e audio-visuali di massa, condurrà alla proletarizzazione diffusa della sensibilità, ovvero alla desimbolizzazione e alla perdita del saper-vivere delle persone. La vita simbolica verrà requisita e sottomessa all’organizzazione industriale, che assegnerà a professionisti della comunicazione il compito di produrre simboli da somministrare a consumatori privati della loro possibilità di partecipare alla produzione di simboli, ovvero del loro sapere come saper stare al mondo.

L’industria culturale e il marketing commerciale tendono a «deviare verso la televisione il processo d’identificazione primaria7 attraverso il quale i bambini ereditano dai loro genitori le capacità di diventare ciò che sono, ossia di regolare le loro identificazioni secondarie tramite cui sono in grado di trasformarsi adottando nuovi modi di vita». Questa economia, sempre meno alimentata dal desiderio e sempre più pulsionale, conduce verso la «DESUBLIMAZIONE, che tende a liquidare la psiche stessa» (Stiegler, 2012, p. 99).

Dopo la rivoluzione conservatrice e la svolta neoliberale dell’ultimo quarto del XX secolo, la sottomissione integrale dei dispositivi audiovisivi di massa al marketing strategico, attraverso la privatizzazione di radio e televisioni, inaugurerà l’epoca della «miseria simbolica», quella della desimbolizzazione di massa, come perdita di individuazione psicosociale. Dall’atrofia di conoscenza e corporeità dell’operaio, indotta dalla delega di operazioni e movimenti alla macchina, a quella estetica e simbolica ad opera del marketing analogico e digitale rivolto al consumatore, si delinea quindi una traiettoria che tenderà a requisire prima il saper-fare e poi lo stesso saper-vivere dell’individuo.

Usando un lessico lacaniano potremmo anche scrivere che, se il desiderio umano sorge nella misura in cui il Simbolico, interdicendo l’autismo godente della Cosa, rende possibile la legatura delle pulsioni ad opera del desiderio, l’epoca della «miseria simbolica», sottomettendo la vita simbolica all’organizzazione macchinico industriale della sensibilità, slega le pulsioni che il desiderio tiene assieme, cortocircuitando «i processi di individuazione, di idealizzazione e di transindividuazione8 intessuti sul filo delle relazioni intergenerazionali che annodano il desiderio “legandovi” le pulsioni» (Stiegler, 2019, pp. 63, 64).

La perdita di partecipazione e d’individuazione da parte del consumatore si manifesterà con comportamenti sempre più compulsivi, mimetici, gregari e automatizzati, nella direzione di una società falsamente individualista, perché società-gregge, società-formicaio.

3. Dis-investimento libidinale e dis-individuazione del soggetto

Gli oggetti, sottoposti da tempo a una obsolescenza accelerata e diventati integralmente calcolabili, hanno cessato di essere supporti di investimento libidinale, con la conseguenza che la libido, che è ciò che trattenendo l’oggetto desiderato lo infinitizza, ovvero lo rende eccedente qualsiasi calcolo, ne viene dis-investita. Ciò significa che l’oggetto, non più trattenuto dalla libido, perde la sua consistenza e non funziona più come catalizzatore e coagulatore delle pulsioni che ora, disinvestite da qualunque affetto e slegate come sono dal desiderio, portano infine alla distruzione di quest’ultimo. La conseguenza è stata che «il marketing fu costretto a sollecitare e sfruttare direttamente le pulsioni – non potendo captare desideri che non esistevano più giacché, essendo tutti i loro oggetti divenuti delle ready-made commodities, essi non avevano più alcuna consistenza» (Stiegler, 2019, p. 88).

Per Stiegler, sul solco tracciato da Gilbert Simondon, l’io non è uno stato de-finito, ma un processo che risulta coincidere con la stessa individuazione psichica, la quale è sempre anche un’individuazione collettiva, non essenso l’individuo un’entità autonoma rispetto all’insieme sociale. La dinamica del processo d’individuazione ha luogo nello scarto che si dà tra io e noi, in quella differenziazione che è (anche) una differance, nel senso che l’uno non esiste autonomamente senza l’altro e viceversa, ed entrambi non si danno se non in seno a un’individuazione tecnica9 che li sovradetermina.

Se l’individuazione del soggetto, si realizza attraverso la dinamica della differenza io/noi, nella società industriale del consumo sistematico, e sempre più in quella iperindustriale dell’iperconsumo che la seguirà, quello scarto tra io e noi tende ad annullarsi, a causa di una standardizzazione di percezioni e memoria (ovvero di ritenzioni primarie e secondarie) che, cancellandone la singolarità, riduce il singolo all’anonimia della struttura impersonale del “Si”, quella che già Heidegger aveva iniziato a registrare nella prima metà del secolo scorso.

Questo processo di dis-individuazione degli individui, comporta che «la loro capacità narcisistica inizialmente si esasperi, per poi collassare: privati di singolarità, essi cercano di singolarizzarsi mediante artefatti, loro proposti dal mercato, il quale sfrutta questa miseria propria del consumo e, portati a un narcisismo a oltranza e vano, fanno l’esperienza del loro smacco, o, alla fine, perdono la loro immagine: non si amano più e si rivelano sempre meno capaci di amare» (Stiegler, 2021 I, p. 99). Il soggetto, privato delle sue «capacità narcisistiche primordiali»10, come pure del noi, risoltosi nel “Si”, diventa quel Nessuno che, privo del sentimento di esistere, insicuro e violento, punta solo all’annientamento degli altri, quel noi che, trasformatosi nel “Si” per mancanza esso stesso d’individuazione, il soggetto ritiene responsabile della sua dis-individuazione. L’organizzazione e lo sfruttamento industriale illimitato del consumo, che tramite la sincronizzazione delle coscienze, annulla ogni differenza tra io e noi, declinandoli in un “Si” depersonalizzato, tende ad annullare progressivamente lo stesso Io, che ad un certo punto arriva a non provare più amore per se stesso. Ma se l’io non ama più se stesso, non può neanche amare gli altri, perché gli altri sono lo specchio dell’amore che l’io prova verso se stesso. Non amando più né sé né gli altri, ogni suo comportamento, può diventare un passaggio all’atto dal carattere omicidiario o suicidiario.

Il passaggio dalla società industriale a quella iperindustriale è segnato dalla generalizzazione dell’industrializzazione e dalla diffusione pervasiva della calcolabilità. Questo stadio del capitalismo, al quale corrisponde una società automatizzata, realizza pienamente lo sfruttamento diretto delle pulsioni. La società automatica intercetta, anticipandone la scarica, gli automatismi biopsichici delle pulsioni s-legate dal desiderio, per convogliarli in dispositivi a loro volta automatici, in grado di eterodirigere i comportamenti dell’individuo psichico e collettivo.

Si tratta «di una distruzione dei desideri per anticipazione auto-realizzatrice di fantasmi pulsionali di qualsiasi genere: voyeurismo, esibizionismo, mimetismo delle masse convenzionali in generale» (Stiegler, 2019, p. 234). Ma le pulsioni, disinvestite da qualsiasi affetto, piuttosto che venir contenute dagli automatismi tecnologici, tendono a s-legarsi sempre di più e a rafforzarsi, tracimando nella società. L’industria delle tracce digitali reticolari tenta di catturarle attraverso la stimolazione “personalizzata” della pulsione consumistica e sfruttando meccanismi mimetici, ma le pulsioni si rivelano più che mai «incontrollabili, contagiose e minacciose» (Stiegler, 2019, p. 70).

L’overloading al quale viene sottoposto l’apparato psichico e cognitivo è tale da compromettere la capacità degli strati superiori di tenere assieme le pulsioni, che di conseguenza tendono alla scarica, piuttosto che a legarsi con rappresentazioni transeunti e intercambiabili come quelle rese disponibili a ciclo continuo in rete. Da ciò può derivare una coazione a ripetere che innesca un godimento che si pone al di là del principio di piacere e che ha come meta il ripristino regressivo di uno stato precedente, quello di un’esperienza primaria di soddisfacimento. Il soggetto viene blandito di continuo da un marketing strategico, che indirizzando la pulsione di vita, la libido, sul suo stesso Io, ne alimenta il narcisismo. Questo costringe la pulsione di morte dell’Io a staccarsi e a rivolgere la propria distruttività sull’oggetto esterno, al quale può prestare le sue sembianze qualsiasi cosa. Se la pulsione di morte, quando non viene estroflessa sull’oggetto, serve «a ridurre, a mantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli», ovvero a mantenere inalterato il funzionamento del principio di piacere, questo disinpasto pulsionale altera qualsiasi possibile omeostasi tra le due pulsioni, innescando un narcisismo maligno, che può dirigere la componente sadica della pulsione sessuale, verso tutto ciò che è non-Io (Freud, 1920, p. 239).

4. Pensiero e temporalità nell’epoca della mancanza d’epoca.

A partire dalla rivoluzione industriale, lo sviluppo della tecnologia11, si è sempre trovato in anticipo rispetto alla sua regolamentazione in uno stato di diritto. Gli stati di fatto, non ancora normati, emersi con le innovazioni tecnologiche, hanno spesso generato shock, instabilità socio economiche, rendite di posizione e monopoli di potere. A questa fase ne è sempre seguita un’altra, secondo quello che Stiegler chiama il doppio raddoppiamento epocale, nella quale dopo lo choc che accompagna sempre l’emergere di una nuova tecnologia, il contro choc ad opera del pensiero, è teso a recuperare il ritardo sociocognitivo provocato da un’invenzione tecnologica, per mezzo di una «invenzione categoriale», che va a costituire «saperi e pratiche in grado di adottare normativamente il nuovo sistema tecnico per il bene sociale e, perciò, di inaugurare una nuova epoca» (Vignola, 2023).

La mnemotecnologia planetaria del Web, comparsa nel 1993, è stata subito accolta come uno spazio virtuale potenzialmente idoneo a realizzare forme di soggettivazione individuale e collettiva, salvo poi venir sottoposta anch’essa a un veloce e regressivo processo di enclosures da parte di multinazionali che sono state in grado di creare dispositivi software, le cui conseguenze sono state tra le altre, dipendenza, controllo, sfruttamento e ludicizzazione di massa. Il web ha inaugurato una nuova epoca che, in mancanza della seconda fase del doppio raddoppiamento epocale, è diventata l’epoca della mancanza d’epoca.

Nella società iperindustriale automatizzata, viene distrutta l’agentività degli individui che si trasformano in agenti reattivi, assorbiti nel presente dell’interazione in tempo reale, rilascianti tracce in rete come «feromoni digitali», catturate da algoritmi che estraggono dati personali da siti internet, social network e applicazioni per apparecchi elettronici (app). La singolarità del soggetto, in sé incomparabile, viene scomposta in particolarità numeriche calcolabili, manipolabili e aggregabili attraverso la ricerca di correlazioni statistiche significative, ovvero di regolarità stabili tra i dati. L’individuo viene reificato e profilato attraverso un modello che ne distrugge la singolarità, osservandone e misurandone i comportamenti ed estraendone pattern comportamentali ricorrenti. A partire da questi «calcoli statistici correlazionisti», è possibile creare dei profili digitali individuali, con i quali predire comportamenti futuri, anticipandoli. La «governamentalità algoritmica» nella sua stretta complicità con il capitalismo, trasforma il soggetto in un terminale di comunicazione, in un nodo di una struttura reticolare che lo riconfigura di continuo, sotto forma di aggregazioni di dati che ne delineano un profilo funzionale alle esigenze del mercato, a partire dal quale vengono inviati messaggi personalizzati, che funzionano come segnali, secondo uno schema di stimolo-risposta. Il soggetto evapora in una nuvola di dati e ogni possibilità di soggettivazione e individuazione scompare, essendo le traiettorie di dividuazione12, elaborate in anticipo ed eterodirette.

La cattura anticipata delle aspettative di futuro individuale e collettivo, protensioni le chiama Stiegler, intese come attese che prefigurano l’oggetto desiderato, è resa possibile dal «calcolo intensivo che si basa su dati massivi, dove il trattamento dei dati, che sono le ritenzioni terziarie digitali, si produce in tempo reale (alla velocità della luce), su scale globali di parecchie centinaia di miliardi di dati, e attraverso dei dispositivi di cattura installati nell’intero pianeta praticamente in tutti i dispositivi relazionali che formano una società (ATM, smartphone, RIFD ecc.)» (Stiegler, 2019, pp. 82-84).

L’automatizzazione della facoltà analitica dell’intelletto umano, a mezzo del lavoro accelerato degli algoritmi, spinge a un’accelerazione la stessa ragione la quale, presa in velocità, come facoltà sintetica ed ermeneutica, strumento di riflessione critica, ne risulta cortocircuitata13.

Gli stessi algoritmi della data-driven AI, se da un lato esibiscono comportamenti intelligenti senza alcuna necessità di pensare, dall’altro sembrano poter lavorare senza alcun bisogno di una teoria alle spalle: con il machine learning dell’IA alimentata dai big data, i dati sembrano aver preso il posto della teoria, secondo quella linea ideologica che risale a un articolo di Chris Anderson su “Wired” del 2008, nel quale egli sosteneva che i dati si possono analizzare senza la teoria e che quest’ultima è necessaria solo quando i dati sono numericamente insufficienti. Questa dichiarazione sull’inutilità dei saperi in generale, celebra quel sapere automatico che «non ha più bisogno di un pensiero. All’epoca degli algoritmi non c’è più bisogno di pensare: il pensiero si è concretizzato sotto forma di automi algoritmici […] In quanto automi, questi algoritmi non hanno più bisogno di esso per funzionare» (Stiegler 2019, pp. 112, 113).

A conferma di quanto scritto da Stiegler, nel 2023 è comparsa una particolare forma di IA, quella conversazionale generativa di ChatGPT (Generative Pretrained Transformer), un modello di elaborazione del linguaggio, implementato da un algoritmo di apprendimento automatico, che attraverso un chatbot, può interloquire con chiunque rispondendo a qualunque domanda, utilizzando il linguaggio naturale. ChatGPT potrebbe aprire alla possibilità di rendere obsoleto ogni ragionamento ovvero, dopo la distruzione del saper-fare e del saper-vivere, di distruggere il saper-pensare. La farmacologia di Stiegler ritiene però che ogni ritenzione terziaria mnemotecnica, com’è lo stesso ChatGPT, sia un pharmakon, il quale può rivelarsi tanto utile quanto dannoso. Se così fosse oggi dovremmo riuscire a formulare un pensiero all’altezza di questo dispositivo sociotecnico, affinché il suo utilizzo di fatto possa diventare anche un utilizzo di diritto, venga utilizzato cioè per un’espansione delle capacità cognitive, estetiche e relazionali umane, piuttosto che per la loro proletarizzazione. Se però la tendenza del «capitalismo computazionale, è quella volta, come scrive Jonathan Crary, a «ridurre il tempo occupato dai processi decisionali ed eliminare del tutto il tempo inutile della riflessione e della contemplazione» (Crary, 2015, p. 44), con velocità di calcolo così elevate che rendono irrimediabilmente obsoleto il tempo necessario alla deliberazione riflessiva tra esseri umani, la diffusione di ChatGPT, può iniziare a destare qualche preoccupazione. La delega del processo riflessivo e decisionale ad automatismi algoritmici che canalizzano anche le pulsioni, rende concreto il pericolo di un tendenziale esonero del soggetto dal principio di responsabilità e dalla facoltà critica di riflessione, tale da trasformarlo in una entità postumana, integrata nell’automa cognitivo globale. Il soggetto eteroguidato da «processi di presa di decisione automatizzati, inaugura l’era della stupidità sistemica, anche chiamata functional stupidity» (Stiegler, 2019, p. 71).

Freud spiega che nella coscienza, a differenza degli altri sistemi che compongono l’apparato psichico, non rimangano tracce mnestiche permanenti degli eccitamenti che provengono dal mondo esterno e delle sensazioni di piacere e dispiacere che provengono da quello interno (Freud, 1920, pp. 210, 211). Potremmo ipotizzare che l’eccitazione attenzionale ininterrotta operata da flussi velocissimi di stimoli altamente volatili, non lasci tempo alle tracce ritenzionali digitali di depositarsi in modo permanente negli altri sistemi dell’apparato psichico, impedendo in questo modo la formazione della memoria. La velocità degli automatismi e la variabilità degli stimoli che attenzionano la coscienza è tale da non consentire l’intermittenza necessaria alla costruzione di un deposito mnestico e quindi di un soggetto della memoria.

La «governamentalità algoritmica» del tecnocapitalismo prosegue la distruzione del processo di individuazione del soggetto, in quanto quest’ultimo si nutre di intermittenza, di dis-continuità temporale, che i flussi ininterrotti di segnali con i quali il neuromarketing colpisce il soggetto, non rendono più possibile. Nella «governamentalità algoritmica, non c’è più il tempo di sognare, dal momento che l’anima onirica che era fino ad allora l’individuo psichico e noetico è ormai sempre preceduta dal suo doppio digitale, generato dalla tracceologia industriale che costituisce l’economia dei dati. Tale doppio digitale in effetti cortocircuita funzionalmente i desideri in cui i sogni consistono» (Stiegler, 2019, p. 195). Il processo di individuazione psichica e collettiva, necessita di tempo interiore rallentato, di spazio psichico non colonizzato, di singolarità incalcolabili e di ritmi e avvicendamenti ciclici dell’esistenza umana. Il tecnocapitalismo, appropriatosi della rivoluzione tecnologica digitale, con l’accelerazione ipercinetica dei segnali, la colonizzazione delle coscienze, la calcolabilità dell’intero orizzonte ontico e l’assorbimento dei tempora dell’ec-sistenza in un eterno presente, che tende a destrutturare la temporalità umana, distrugge ogni possibilità di individuazione.

5. Cura estetica e re-incantamento del mondo

Stiegler, assegnando al termine estetica l’accezione più ampia di sensazione (aisthésis), identifica la questione estetica come quella del sentire e della sensibilità in generale. La questione estetica, in questa accezione, diventa una questione politica, dato che quest’ultima «è essenzialmente la questione della relazione all’altro in vista di un sentire insieme, una sim-patia in questo senso, […] che presuppone un fondo estetico comune. L’essere insieme è quello di un insieme sensibile. Una comunità politica è dunque la comunità di un sentire» (Stiegler, 2021, pp. 27, 28). La degradazione della sensibilità individuale e collettiva è ciò che spiega la depoliticizzazione crescente nelle nostre dis-società, preda di un diffuso populismo digitale.

La tecnica, quale ritenzione terziaria, trasforma il sensibile secondo la forma che essa assume, a causa della tecnicità originaria del sentire, per la quale la sensazione diviene percezione attraverso un atto noetico14 che «inscrive l’aisthésis in una semiosis» (Stiegler, 2021, II, pp. 57, 58), ovvero in un orizzonte simbolico, assumendo un senso che è di ordine sociale. Il circuito del senso che si instaura, è tale da modificare il senziente stesso, ovvero l’individuo, attraverso l’allargamento delle possibilità di sentire e di senso, frutto di un apprendimento che si dà come azione noetica. La percezione non è una semplice ricezione del sensibile attraverso un organo di senso, ma è frutto di una produzione noetica che è sempre una ec-cezione singolare, tramite la quale il soggetto che sente si individua. E si individua perché questa ec-cezione, imprime al divenire una biforcazione, nella quale confluisce quell’eccesso che è la manifestazione singolare dell’e-sistenza, nel suo originario fuori di sé, ovvero nel suo esteriorizzarsi estetico, che rende la stessa contingenza, necessaria.

Ma per sentire, come scrive Leroi-Gourhan, bisogna partecipare, ovvero sperimentarsi e conoscersi come riflesso della propria esplorazione e manipolazione della materia: «la perdita della scoperta manuale, del rapporto personale dell’uomo con la materia a livello artigianale ha eliminato una delle possibilità di rinnovamento estetico individuale». Possibilità che verrà sempre più ostacolata dai dispositivi estetici messi a disposizione dal capitalismo industriale e iperindustriale, che requisendo l’immaginazione, inducono un consumo passivo di modelli prefabbricati, che sottrae quella «razione di arte personale» necessaria per sentire, in quanto «occorre un minimo di partecipazione per sentire e per avere dei sentimenti» (Leroi-Gourhan, 1977, pp. 460-461).

La vera posta in gioco nell’epoca iperindustriale è perciò estetica, e la guerra estetica da combattere nella società del controllo degli affetti e del sentire è una guerra politica. Ciò che risulta necessario è «inventare i circuiti di una nuova economia libidinale» (Stiegler, 2021, II, 154), che agganciando il desiderio alla con-sistenza dell’oggetto e non all’in-sistenza del segnale, amalgamino le pulsioni per mezzo della legatura del desiderio stesso, aprendo all’imprevedibilità del futuro e non chiudendo alla prevedibilità di «una razionalità (a)normativa e (a)politica basata sulla raccolta, l’aggregazione e l’analisi automatica di dati in quantità massiva in modo da modellizzare, anticipare e affettare ancor prima che si verifichino i comportamenti possibili, realizzando la produzione automatica del possibile ridotto al probabile» (Stiegler, 2019, p. 204).

La questione fondamentale da porre oggi è se sia ancora possibile tornare a interpellare il nostro desiderio singolare, sottraendosi agli automatismi e al controllo degli algoritmi che, anticipandolo, e preformandolo tramite una profilazione digitale personalizzata, lo conducono all’estinzione. Per Stiegler ciò risulta possibile a patto che sorga un governo della tecnica che abbia l’obiettivo di disautomatizzare le nostre società e le nostre esistenze, restituendo alla persona, un quanto mai necessario e fertile tempo dell’otium che, con la sua intermittenza, le consenta ancora di pensare e sentire autonomamente. Per fare questo è necessario mettere in relazione il «Web semantico automatico», utilizzandone gli automi, con un «Web ermeneutico disautomatizzabile», che possa generare quel sapere che al primo è precluso. Sapere che inauguri una nuova individuazione psichica e collettiva, restituendo alla ritenzione terziaria la sua potenziale polisemia e polivocità «di traccia ipomnestica riflettente il gioco ermeneutico dell’improbabile e della singolarità, afferente alle protensioni» individuali e collettive (Stiegler, 2019, p. 260). Dando in questo modo la possibilità al divenire, oggi ostaggio del più probabile, di farsi avvenire, il quale si dà solo a partire dall’improbabile, quale frutto dell’incalcolabilità del pensiero.

Ogni individuazione è un’eccezione, una dif-ferenza, che fa dell’individuo una singolarità non calcolabile, formalizzabile, confrontabile, in quanto unica e irripetibile. Un Sé come eccezione singolare sempre in un rapporto di co-individuazione con il Noi. Se il capitalismo cognitivo computazionale ha ingaggiato una guerra estetica contro la singolarità, scomponendo l’individuo in particolarità calcolabili e captando e canalizzando l’energia libidica in modo tale da ridurre la singolarità a semplice sussistenza, oggi è quantomai necessario creare uno nuovo stato di diritto a partire dal quale operare la «ricostruzione di un’economia delle pulsioni, e un riarmo del desiderio» (Stiegler, 2019, p. 106).

Per fare ciò risulta necessario re-incantare il mondo, ovvero restituire agli individui i loro saperi, saper-fare, saper-vivere e saper-pensare, in definitiva «saper inventare la propria vita», per poter partecipare alla produzione simbolica e alla «socializzazione del mondo attraverso la sua trans-formazione» (Stiegler, 2012, p. 94). Se la neghentropia è ciò che lotta contro l’entropia, che è «l’equalizzazione e l’indifferenziazione di ogni cosa», allora l’individuazione psichica e collettiva è quel processo neghentropico di differenziazione, del quale una società si deve prendere cura, per evitare che la singolarità di ogni ec-sistenza umana naufraghi in un mare indistinto e indifferenziato.

L’arte, nell’espressione di ogni sua opera, «più di ogni altro oggetto, è l’esempio stesso dell’oggetto del desiderio come sublimazione – almeno da quando Dio è morto: fintanto che esisteva, un’opera mostrava la luce della Sua rivelazione. Oggi, la nostra esperienza della singolarità per eccellenza è quella dell’opera d’arte» (Stiegler, 2012, p. 124) la quale, nella sua singolarità, è incalcolabile e proprio per questo porta con sé l’adimensionalità dell’infinitezza. L’essere umano, di fronte ad essa e accordandosi con essa, consiste ed ec-siste, ovvero si pone fuori di sé, in quell’oltre in cui naufraga ogni calcolo, anticipazione e prevedibilità. In questo ec-sistere, l’individuo, nella sua singolarità, torna a desiderare e de-siderando si apparenta con gli astri del cielo, se sidus, sideris, in latino, annovera nel suo significato quello di stella, sublimandosi e ri-accordando la propria economia libidinale con la stessa s-terminata e infinita dimensione cosmica.

Note

1 In antropologia, per ominazione o ominizzazione si intende il complesso di quei processi evolutivi (quali l’acquisizione di un’andatura esclusivamente bipede, lo sviluppo del cervello, la formazione di un linguaggio articolato e la capacità di trasmissione culturale) che, da una forma primitiva di primate ominide, hanno condotto all’attuale specie umana. https://www.treccani.it/vocabolario/ominazione/

2 Per Stiegler la tecnica è il vero impensato della filosofia da quando Platone, separando la techne dall’episteme, l’ha inscritta in una narrazione metafisica, che l’ha defraudata della sua centralità. Heidegger sarà il primo a svincolare la tecnica dal suo ruolo strumentale, per farne una modalità di dis-velamento dell’essere stesso. Anche lui però, a detta di Stiegler, rimarrà intrappolato in una metafisica che assegna al linguaggio quella purezza che la tecnica snaturerebbe, non cogliendo quella che secondo Stiegler è la tecnicità originaria che sta al fondo dell’origine stessa dell’uomo.

3 Lo Zinjantropo è una specie di ominide del genere Australopithecus, vissuto tra 2,6 e 1,2 milioni di anni fa nell’Africa orientale, durante il Pliocene e il Pleistocene. https://it.wikipedia.org/wiki/Australopithecus_boisei

4 Il Neantropo, chiamato anche Homo sapiens fossilis, presenta già riconoscibili caratteristiche strutturali tipiche dell’uomo attuale. I Neantropi rappresenterebbero i primi stadi, paleontologicamente documentati, dell’evoluzione degli Ominidi in diretto rapporto con l’Homo sapiens moderno; si ritiene che ebbero diffusione durante il Paleolitico superiore. https://www.sapere.it/enciclopedia/faner%C3%A0ntropo.html

5 «Nel XIX secolo le mnemotecnologie fanno per la prima volta apparizione: tecnologie e non più semplicemente tecniche, sono prodotti industriali e macchine che inaugurano l’era dell’audiovisivo (fotografia e fonografia, cinema e radio, televisione), e poi, nel XX secolo, tecnologie del calcolo (eredi della meccanografia di Hollerith), di modo che il mnemo-tecno-logico diventi il supporto stesso della vita industriale e sia integralmente sottomesso agli imperativi della divisione mondiale e macchinica del lavoro, della ricchezza e dei ruoli: a fortiori quando, attraverso la digitalizzazione generalizzata, tecnologie dell’informazione e tecnologie della comunicazione si integrano, quadro oggi denominato “capitalismo culturale” o “capitalismo cognitivo”» (Stiegler 2021, I p. 35).

6 Un oggetto temporale è fatto dal tempo del suo fluire, come ad esempio una canzone, un film, un programma radiofonico o televisivo. Esso scorre e nello scorrere, passa, appare e nel suo apparire scompare, a differenza di un oggetto come una sedia, che rimane stabile e fisso: «Un oggetto è “temporale” quando il suo fluire corrisponde al fluire della coscienza del quale è oggetto (ad esempio: una melodia). Nella nuova calendarità i “flussi di coscienza” della collettività mondiale fluiscono con i flussi temporali dei prodotti delle industrie dei programmi, dalle quali risulta uno sconvolgimento del processo stesso dell’evenementalizzazione (di “ciò che succede, di ciò che avviene, di ciò che coniuga lo spazio al tempo, come tempo) […] le industrie di programmi, ed in particolare l’industria mediatica dell’informazione radiotelevisiva, producono in massa una serie di oggetti temporali che hanno la caratteristica di essere ascoltati e guardati simultaneamente da milioni, a volte decine, centinaia, o anche migliaia di milioni di “coscienze”: questa coincidenza temporale di massa guida la nuova struttura dell’evento, alla quale corrispondono nuove forme collettive di coscienza e di incoscienza» (Stiegler, 1996, quarta di copertina, p. 276).

7 Per Freud l’identificazione primaria consiste nell’adozione da parte del bambino del modello genitoriale, mentre le identificazioni secondarie riguardano la strutturazione della personalità adulta, attraverso l’adozione di oggetti affettivi, legami e forme di sublimazione.

8 La transindividuazione, concetto che Stiegler mutua da Simondon, integrandolo, è il fondo preindividuale a partire dal quale si danno individuazione psichica e collettiva come co-individuazione, la quale va a stratificare diacronicamente lo stesso fondo, come milieu, qui sta l’integrazione di Stiegler, costituito e supportato da forme ipomnestiche, ovvero ritenzioni terziarie (Stiegler, 2015 pp. 46, 47).

9 Per Stiegler l’oggetto tecnico è qualcosa che tende all’organizzazione e alla propria individuazione. La tecnica in quanto traccia ed eredità, lega insieme l’individualità psichica e collettiva in quella che egli chiama epifilogenesi: «A partire da Heidegger e da Derrida, si tratta allora di mostrare l’irriducibile priorità della tecnica la quale […] costituisce l’orizzonte di tutte le individuazioni psicosociali» (Stiegler, 1993).

10 Per narcisismo primordiale Stiegler non intende né il narcisismo primario né quello secondario elaborati da Freud, ma quell’amore di sé, che pur potendo avere esiti patologici come la paranoia, è la precondizione di qualsiasi forma d’amore. Il narcisismo primario, del quale parla Freud, è quello del neonato che, in un stadio ancora fusionale con la figura materna, scambia la dipendenza dalla madre, che soddisfa immediatamente i suoi bisogni nel momento in cui sorgono, per una forma di onnipotenza. Il narcisismo primario è uno stadio della vita antecedente alla costituzione dell’Io. Il narcisismo secondario, invece, si caratterizza per una introflessione sull’Io della libido sottratta ai suoi investimenti oggettuali. Esso tenta di annullare il dolore causato dall’amore [oggettuale] frustrato, quel trauma della separazione che può generare un risentimento verso chi non risponde più prontamente ai bisogni del bambino. Quest’ultimo, per tenere a bada le pulsioni aggressive che tendono a generare in lui angoscia e sensi di colpa, può tentare di ristabilire immaginariamente la relazione originaria, con la creazione di una madre o un padre onnipotenti, le cui figure di mescolano alle immagini del proprio sé.

11 Nella particolare accezione riservata da Marx al termine tecnologia, la sua neutralità e la sua natura farmacologica vengono meno. Marx sottolinea il carattere eminentemente astratto che qualunque lavoro assume, anche quindi quello digitale, una volta sussunto dalla logica riproduttiva del capitalismo. Seguendo il pensatore di Treviri, risulta che la tecnologia moderna non è neutra, in quanto riunisce in sé l’applicazione della scienza con il comando eterodiretto e normato sul lavoro, assimilato a cosa tra cose, in funzione dell’intensificazione della produttività. Laddove i rapporti sociali intrinseci a essa, rimangono occultati (Finelli, 2022).

12 Nella governamentalità algoritmica la crisi dell’individuazione, come processo di dis-individuazione o atomizzazione della vita sociale, attraverso la sottomissione delle caratteristiche e degli affetti singolari degli utenti alla calcolabilità, avvera la profezia fatta da Deleuze e Guattari nel celebre Poscritto sulle società di controllo, sul «divenire dividuale degli individui» (Stiegler, 2019, p. 88).

13 Aggiungiamo che dal punto di vista cognitivo, l’essere umano dispone di facoltà intuitive e di facoltà razionali. Le prime corrispondono a frame mentali, già depositati nella nostra memoria procedurale, con i quali interpretiamo una situazione in maniera automatica. Agiamo in modo intuitivo quando ci riferiamo a procedure acquisite nel passato. Un problema che non possiamo riportare intuitivamente a schemi mentali precedenti, dobbiamo affrontarlo con le nostre facoltà razionali. Queste ultime afferiscono alla memoria dichiarativa e implicano una riflessione che si articola in alcune fasi diverse, che richiedono un diverso impegno cognitivo e una durata maggiore. Tramite l’intuizione sappiamo come agire, mentre con il ragionamento sappiamo perché. Ad esempio leggendo un manuale, posso spiegare in teoria come si guida una macchina, senza saperla guidare in pratica. Viceversa posso saper suonare uno strumento musicale, senza aver alcuna conoscenza di teoria e solfeggio. Usare in continuazione un mezzo digitale, attraverso interfacce web, permette di apprendere procedure e dopo un po’ di eseguirle in modo automatico, senza alcun bisogno di pensare e senza sapere nulla con quali criteri e valori sono state costruite. Data la grande plasticità dell’organo cerebrale e il suo veloce modificarsi tramite l’apprendimento di procedure, soprattutto se dotate di interfacce user friendly e gamificate, il rischio paventato di un’esposizione sempre più massiva ai device digitali, soprattutto dei più giovani, è quello di una atrofizzazione della memoria dichiarativa a favore di quella procedurale, laddove risultano entrambe indispensabili nell’interazione con il mondo reale.

14 Il pensiero noetico, o nòésis, indica l’attività del noùs, che è quella di comprendere e di riconoscere immediatamente cogliendo la “cosa intelligibile”, contrapposta da Aristotele alla dianoesis ovvero al pensiero razionale basato sui principi della scienza che ha per oggetto la “cosa sensibile”.

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